Sono nata il 29 marzo 1960. All’anagrafe, per uno strano caso del destino, mi hanno “registrata” il 21. Non l’ho mai cambiata questa data: forse perché coincide con l’inizio della primavera - che è rinascita di vita - la stagione che più mi appartiene cercando sempre, dentro e fuori di me, “nuovi inizi”. I miei genitori, Adua e Giancarlo, giovani e belli, mi accolsero tra le loro braccia e mi presentarono a quello splendido specchio di mare che si affaccia sul canale di Piombino, con l’Elba di fronte e i suoi tramonti rosa.
fu primavera appena iniziata
in un chiacchiericcio di fiori e colori
nel blu del canale visto dal faro
(zaffiro ripreso dagli occhi)
nel rosa antico della sera
tramonto di quarzo sull’Elba
appese le vele del porticciolo
nel vento di scirocco si vide
remare respirare salsedine
(le redini in mano alla ciurma)
un capitano appena spodestato
rinato nella torba del fondale
fu primavera appena iniziata
nella stanza d’ospedale la finestra
accostata da cui chiamare il nome
il colore della prima figlia
il tepore della famiglia stringere
appena quelle dita di vita
dio, pensi ancora a quello
che dicesti che tu volesti per me
- nasci per fare collane di parole
allungare le ore del giorno
dare voce alle foglie più lontane
appoggiare sul volto il sorriso -
dio, ricordi sarà così
partirai con me nel viaggio
condiviso fino al ritorno
sarà giorno quando arriveremo
un giorno pieno riconosceremo
la via, la cucina, il canestro del pane
il luogo dove poter stare
tu stammi vicino lo stesso
anche se io mi allontano
adesso fammi raccontare di te
di quelli che scopro e che amo
della gioia della conciliazione
dai forza alla mia voce
e alla penna che scrive e rivive
nella primavera avanzata un pianto
di madre un tenero impaccio di padre
l’abbraccio fammi sentire
e il miracolo del mio divenire
(da: La causa dei giorni, Interno Libri, 2022)
L’infanzia passò felice tra le campagne dell’entroterra, il Golfo di Baratti - nella geografia poetica dei miei testi, meta di grande valore letterario -, la numerosa famiglia che si riuniva nei giorni di festa e partecipava ogni singola esperienza rendendola comune. A volte era soffocante quell’aria di continua condivisione ma oggi, a distanza di tanti anni, ripenso a quanto fosse importante sentirsi parte di un nucleo familiare così unito, su cui poter contare. Nascono dal ricordo di quei momenti tanti pensieri che, nel tempo, sono diventati esperienze forti, radicate dentro di me, e per questo esperienze di poesia. Un libro accompagnò le mie fantasie di scrittrice, di desiderio di libertà, di fuga che, a mio avviso, si poteva concretizzare solo nella scrittura. Lo conservo ancora perché è stato il mio primo libro formativo: “E’ tutta un’altra cosa” di Ingrid Theissen, edito dalla Fratelli Fabbri Editori. Racconta la storia di una ragazza che, dopo varie peripezie, corona il suo sogno di diventare redattrice in un giornale, scrivendo articoli importanti.
Alle scuole medie inferiori ebbi la fortuna di imbattermi in un’insegnante di lettere che amava tanto il suo lavoro, e impazziva per il teatro. Fu lei a trasmettermi l’amore per la Divina Commedia – di cui recitava a memoria i brani più celebri - e per le letture ad alta voce, le interpretazioni sceniche e drammatizzate dei testi che oggi realizzo con i miei lavori.
L’adolescenza mi vide frequentare una scuola (L’I.T.C. L. Einaudi di Piombino) che mi andava stretta per predisposizione naturale. Erano i tempi in cui con il “diploma” si poteva lavorare, rendersi indipendente da subito, senza aspettare la laurea, e mi impegnai per riuscire a superare anche gli ostacoli che le materie più scientifiche e matematiche mettevano fra me e la mia possibile riuscita scolastica. Ma, erano i miei temi di lettere, allora si chiamavano così, a darmi le maggiori soddisfazioni. Di solito venivano letti in classe ai miei compagni, e ricordo che la mia insegnante del biennio raccontava a mia madre di leggere i miei componimenti a casa, al marito.
Scrivere mi dava gioia, mi faceva star bene, tirava fuori quello che c’era nascosto dentro di me e che, spesso, dovevo reprimere con la voce per non sembrare “diversa”. E diversa mi sentivo. Non c’era nulla da fare. Nulla mi piaceva di più che scrivere e leggere. Questa fase della vita la passai quasi completamente chiusa in casa a studiare, a ricopiare gli appunti con la mitica “Olivetti 32”, a ricercare e approfondire notizie e materie di studio, con i pochi mezzi che avevo a disposizione (mio dio, se ci penso, avevo tutta per me la grande enciclopedia “Vita Meravigliosa” delle Edizioni Confalonieri… e null’altro, tranne le brevi incursioni nella biblioteca civica). Mi alzavo prestissimo al mattino, per ripassare i compiti, e il mio quaderno degli appunti, richiestissimo in classe, era sempre in perfetto ordine e aggiornato. Non facevo vita sociale e avevo pochissime amiche. La distanza della casa dei miei dal centro del paese era determinante per scoraggiare ogni mio ipotetico desiderio di raggiungere il corso principale, il luogo d’incontro dove scambiarsi idee, raccontarsi, incontrare l’amore - anzi quello lo incontrai comunque, ma sarebbe stato meglio averlo potuto evitare - . Leggevo. Qualsiasi cosa potevo, qualsiasi cosa avevo davanti, qualsiasi cosa riuscivo a raggiungere. Mi formavo il gusto letterario: ancora non ero completamente consapevole del valore della poesia, apprezzavo di più la prosa. I racconti, i romanzi: le vicende, le trame, i luoghi, mi lasciavo trasportare ovunque e desideravo scrivere anch’io, ma non sapevo di cosa. Le mie esperienze di luoghi, viaggi, incontri erano praticamente inesistenti. Mi arrangiavo, per questo, a riscrivere le storie di vita e di poetica dei grandi autori, o dei grandi momenti storici e letterari che mi avevano colpito di più, ad analizzare testi poetici e narrativi con le parafrasi e i commenti che nascevano da quelle letture. Da qui è nata la mia passione per le rivisitazioni e le reinterpretazioni, lo sviluppo del senso parodico e della creatività dell’immaginario, che spesso utilizzo nei miei scritti.
In quinta superiore si studiavano i contemporanei. Lo scrittore che più sentivo vicino era Ignazio Silone. Le sue contraddizioni, i suoi dubbi, le sue riflessioni sul mondo sociale e politico erano le mie. Piombino era – ed è stato così fino a poco tempo fa, prima della chiusura, ormai definitiva della fabbrica – un indefinibile confine tra sacro e profano, una sorta di liminare per riti iniziatici, dove i passaggi delle recriminazioni operarie degli anni ’60 – ‘70, conducevano dritti alle vie crucis del venerdì di Pasqua, dove quegli inequivocabili lavoratori del ferro erano gli stessi che indossavano il saio per portare il Crocifisso. Cresciuti a pane, acciaio e rosario – tra le bestemmie più fantasiose e le preghiere più accese – quegli uomini sembravano uscire dalla sagra di Peppone e Don Camillo, dal Mondo piccolo di Guareschi che – ancora non lo sapevo – sarebbe stato l’autore su cui elaborai la mia prima tesi di laurea.
Delle donne della mia famiglia nessuna lavorava fuori di casa. Erano – sono tuttora - perfette nel cucinare, nel tenere in ordine la casa e curare l’economia domestica, nel cucire e ricamare, nel crescere i propri figli. Io le osservavo soprattutto ricamare o lavorare all’uncinetto e mi piaceva – mi piace tuttora – perdermi nei racconti dei loro ricordi, nelle storie del loro passato, nelle inquietudini sul futuro e nei resoconti quotidiani di quanto avveniva/avviene nella periferia dove abitavo. Sono nati in futuro, da questi resoconti, alcuni testi poetici dedicati a figure di donne delle quali ho voluto fermare un momento di particolare rilievo della loro esistenza.
ha il seno grande Mariannina
e non solo
fiori e fiori nelle vesti
anche nei resti
della sua lunga epifania
ma l’occhio è piccolo
di chi non ha mai visto
un sorriso di resto
a un conto già pagato
furtiva per le strada
vorrebbe l’amore
a pareggiare
nessuno le può dare
ciò che le spetta
lei dice
e ancora si dice
cambi il suo cotone con la seta
per direzione e non per meta
(da: Incontri e Incantamenti, Raffaelli 2012)
Tra i venti e i trenta anni la vita assunse colorazioni diverse. Arrivò l’impego che mi dette indipendenza, arrivò una storia importante che me la tolse, arrivarono viaggi inaspettati in terre lontane e diverse, trasferimenti. Arrivò una figlia, Alessandra, con cui fare i conti. Le letture si indirizzarono di più verso la poesia. Cominciai a confrontarmi con i grandi autori, e dal confronto cominciai a pensare a cosa volevo fare da grande. Ma, i versi nascevano e morivano sul foglio, erano inconsistenti, senza una forma precisa. Non riuscivo a lasciarli andare, a dar loro un indirizzo, un senso che me li rendesse familiari e necessari. I testi che nascevano erano come tanti piccoli binari morti, senza futuro alcuno, senza utilità. Erano come me. Così mi sentivo anch’io, in un luogo che mi ero illusa potesse diventare il mio, e non c’era modo di uscirne. Il Salento, che mi aveva accolta amorevolmente all’inizio, mi aveva inghiottito nei suoi rituali ancestrali, nei suoi balli di tarantolate, nei suoi profumi inebrianti: ero legata mani e piedi ai totem dei suoi miti, ai reperti delle sue tradizioni. Stavo perdendo la mia identità.
Alessandra era splendida. Vitale, intelligente, bella. Ma, io mi sentivo più figlia che madre, non apprezzavo appieno – come sarebbe successo più avanti – il dono della maternità. L’adoravo, mi identificavo in lei, l’amavo infinitamente, ma come riflesso di me stessa e non come frutto del mio seno. Ci volle il distacco da lei, lo scarto della lontananza per scavare il vuoto che con infinito dolore dovetti colmare. Quando tornammo insieme fu come partorirla di nuovo, rincominciare il cammino dal taglio del cordone ombelicale, donarsi entrambe a nuova vita. E in questo fui aiutata da un grande amore, Maurizio, e da un nuovo figlio, Enrico.
è nelle zolle
perle di verderame
cangiare d’ulivi
e biancospino candore
è nel calore di mimosa
è nel prunalbo
stemprato di mare
e vendemmie
che sta il mio cuore
e che preme
come piede
che affonda la zappa
come schiena ricurva
e sudore che bagna
le mani callose
a svoltare la sabbia
e l’argilla
a rimettere il seme
su quel solido posto
per un nuovo raccolto
che riaffondi radici
che ridia le memorie
come storie e conforto
come terra di padre
ancora nel volto
(da: Il tratto che ci unisce, Prova d’Autore, 2009)
L’amore, la poesia, una nuova città, un nuovo figlio. Tutto arrivò velocemente con l’impeto e il vigore dei trent’anni già iniziati. Un amore fatto di passione e stabilità, di interessi comuni e desiderio di costruire insieme qualcosa. Non tutto rose e fiori, certo che no: ma, costruito su solide basi, su un granitico senso del dovere e della dedizione agli altri. E costruito in una nuova città, Bologna, che si offriva nel suo continuo e ininterrotto moto culturale a fare da sfondo a questo amore, a dargli consistenza, a coltivarlo con il contributo delle sue mille opportunità. E costruito su questo nuovo figlio, Enrico: un dolcissimo bambino che mi riempiva di baci, buono e gioioso per una madre che, finalmente, concretizzava sempre di più questo ruolo, si rinnamorava ogni giorno dei suoi figli.
Bologna, il Laboratorio di Parole del Circolo La Fattoria, il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università, i Poetry Slam, l’Università Primo Levi e i suoi corsi, e le occasioni di conoscere i poeti, quelli veri, quelli che quando li ascolti ti perdi nella musica delle loro parole, e ti ritrovi partecipe del senso della loro vita che diventa la tua.
Il Laboratorio di Parole mi dette tanto. Mi dette la condivisione di uno spazio dove parlare di poesia, mi dette ascolto, mi permise il confronto, mi dette la compagnia e l’affetto di tanti che porto nel cuore, sempre, anche se non ci sono più o se non vedo più da tempo. Per chi ama un luogo dove si respira voglia di poesia questo – tutt’ora attivo - è l’ideale. Lì, crescendo con loro, cresceva anche la mia voglia di fare, di proporre, di lavorare per la poesia e per gli incontri di poesia. Per tanti anni insieme abbiamo organizzato e promosso scambi culturali, eventi, reading di poesia che si sono trasformati in veri rapporti di valore con diversi autori, duraturi nel tempo, di amicizia fra gruppi diversissimi tra loro. Per anni fui l’anima del gruppo, nonché la direttrice della rivista bimestrale “Parole”. Portai nella sede del Laboratorio, in quel quartiere dal nome non facile, il “Pilastro”, alcuni tra i nomi più significativi della poesia contemporanea, coinvolgendo professori dell’Università di Bologna per corsi e approfondimenti. Furono anni intensi, attivi, pieni di entusiasmo. Non c’era modo di fermare l’ascesa del gruppo che poteva ormai ambire anche a reading propri, ben orchestrati e articolati tra musica e letture, essere coinvolto in momenti di alto valore sociale e culturale. “Parole” prendeva sempre più corpo di rivista vera e propria, perdendo la qualità di un semplice resoconto dei testi prodotti dai frequentatori del Laboratorio: nuove rubriche, nuove voci si aggiungevano a quelle preesistenti, regalando valore aggiunto alla pubblicazione. La mia poesia cominciava a prendere forma e corpo, nascevano alcuni testi che poi sono confluiti nel mio primo libro.
Frequentavo già da tempo Davide Rondoni, Gianfranco Lauretano, Alberto Bertoni, Roberto Galaverni, Dante Maffia, Umberto Piersanti e con tutti loro cercavo di intrecciare relazioni, programmare laboratori, costruire percorsi poetici da condividere con gli altri.
Ma, come spesso succede – e com’è ripetutamente successo nella mia vita – i legami troppo forti, che sono quelli più soggetti a insidie da parte dei detrattori, a volte, hanno bisogno di sciogliersi prima dell’esaurimento delle energie, della degenerazione in qualcosa di molto diverso rispetto al vissuto precedente. A malincuore da una parte, ma con la consapevolezza che fosse l’unica cosa giusta da fare lasciai il gruppo e l’incarico, conservando singolarmente i rapporti con chi si mostrò desideroso di mantenerli. In fondo c’era davvero tanto da fare in giro, c’era tanto spazio nuovo da esplorare, e io mi sentivo piena di “nuovi inizi”.
quando lavoro fino a tardi Maria
quando esco in quella poca luce
azzurrina della sera
coni pensieri confusi
con gli occhi stanchi socchiusi
non sempre ti penso Maria
Maria mentre vada di corsa
verso l’autobus che scappa
rovisto il rigo per la cena
ripasso l’area per mio figlio
e il compito di geometria
non sempre ti penso Maria
Maria mentre asciugo
le lacrime di mia figlia
sempre distratta, innamorata
impaurita come me
che cerco d’insegnarle la via
non sempre ti penso Maria
Maria quando vedo
mio padre soffrire
mia madre invecchiare
le mie mani perdere forza
la mia voce melodia
non sempre ti penso Maria
ma se il tuo sguardo mi prende Maria
sull’altare o per la via
il tuo sguardo di ragazza
troppo presto e troppo amata
sento a pelle l’ebbrezza
la tua bellezza nel tempo fermata
e capisco Dio Maria
che da te è voluto nascere
che con te è voluto crescere
Tu che sei il capolavoro
della sua grande regia
dai forza alla mia voce
e alla penna che scrive e rivive
nella primavera avanzata un pianto
di madre un tenero impaccio di padre
l’abbraccio fammi sentire
e il miracolo del mio divenire
(da: Il tratto che ci unisce, Prova d’autore, 2009)
Nel 2007, comunque, ancora in seno al Laboratorio di Parole, cominciai a lavorare seriamente sulla mia poesia, a valutare le mie potenzialità, a misurarmi con i grandi nomi del passato e con la poesia contemporanea. Cercavo la mia strada. Avevo bisogno di nuovi stimoli. Per gioco, in occasione di un incontro organizzato per una ricorrenza del Laboratorio di Parole, scrissi un testo ironico dando voce alla figura di Beatrice Portinari, facendole raccontare in modo parodico la sua versione della storia d’amore con Dante. Lo scrissi in vernacolo toscano, lo imparai a memoria e lo interpretai. Fu un successo. Da lì ebbi l’idea di scriverne altri sullo stesso tono. Ugolino, Gemma Donati, Caronte, Francesca da Rimini: tutti raccontavano la loro versione dei fatti, in modo ironico, senza tradire la Commedia. Ne nascerà un laboratorio scolastico, il mio primo libro edito “Incontriamoci all’Inferno” per la Pendragon di Bologna, e la voglia – mai sopita – di provare a iscrivermi all’Università di Bologna. Su questo mi consigliai con un amico carissimo, il prof. Stefano Benassi – docente universitario, tristemente scomparso qualche anno fa -. Gli parlai delle mie aspirazioni, della voglia di studiare, di costruirmi un percorso tutto mio che potesse darmi i suoi frutti. Lettere mi spaventava, non avevo lavorato molto sul latino. Mi iscrissi alla Facoltà di Scienza della Formazione. Il mio lavoro mi permise di usufruire delle centocinquanta ore di permessi per motivi di studio e cominciai a frequentare i corsi. Il primo esame fu strepitoso: Storia dell’educazione, trenta e lode. Non credevo neanche all’evidenza. Ma, andai avanti. Nel 2009 arrivò il mio primo vero libro di poesie “Il tratto che ci unisce” con prefazione di Davide Rondoni. Lo pubblicai con una casa editrice di Catania, Prova d’Autore, grazie anche all’interessamento di un’amica siciliana di quegli anni. Una parte di quei testi sono stati scritti durante le ore notturne, in seguito alle veglie dovute al dolore per un nuovo allontanamento da mia figlia. Finito il liceo, Alessandra, infatti, decise di trasferirsi a studiare a Roma e da allora, non ha più vissuto stabilmente con noi, se non per brevi periodi. Ha scelto una carriera molto difficile: è attrice e drammaturga e gira l’Italia con i suoi spettacoli.
ch’era domenica
ci s’accorgeva subito dagli odori
un trionfo il tegame col sugo che bolliva
la ciambella nel forno
e le tagliatelle già sparse sulla tovaglia
ad asciugare
e che sole a primavera
dallo spiraglio delle persiane
una quiete senza macchine
con le rondini a rincorrersi
il suono della campana
all’ora della messa
fnel vestirsi più cura
le scarpe nuove
e i capelli appena lavati
col tremore dell’attesa d’uno sguardo
in chiesa tra la folla
si alzavano gli occhi in preghiera
tra le mani giunte e il canto
poi nel ritorno quello sguardo
c’accompagnava fino a sera
era il preludio dell’amore
nell’innocenza di quei pochi anni
bastava a riempire il mondo
bastava per aspettare
la prossima domenica
tra le pagine dei libri
aperte sui banchi di scuola
con le nuvole tra le mani
e i sogni ancora intatti
il luogo dove poter stare
tu stammi vicino lo stesso
anche se io mi allontano
adesso fammi raccontare di te
di quelli che scopro e che amo
della gioia della conciliazione
dai forza alla mia voce
e alla penna che scrive e rivive
nella primavera avanzata un pianto
di madre un tenero impaccio di padre
l’abbraccio fammi sentire
e il miracolo del mio divenire
(da: Il tratto che ci unisce, Prova d’autore, 2009)
Nel 2010, a cinquant’anni già compiuti, discussi la tesi per la laurea triennale, presentando un lavoro di Linguistica Italiana con il prof. Fabio Marri, sulla lingua di Giovannino Guareschi in Peppone e Don Camillo. Un’esperienza indimenticabile. Un’emozione fortissima. Era un sogno che si realizzava: la mia prima laurea. In quell’anno, uscirono anche altri due miei libri: “Caterina Sforza. Una forza della natura fra mito e poesia” con Faraeditore, e “Aldilà dello specchio fatato” con Il Filo. Quest’ultimo aveva la prefazione di Milena Bernardi, docente della cattedra di Letteratura per l’Infanzia. Era una rivisitazione delle fiabe classiche in poesia. Un lavoro molto inteso, emozionante alla lettura ad alta voce. Intanto continuavo anche i laboratori e gli incontri nelle scuole sia sulla poetica dantesca che sulla poesia. Cominciai a essere invitata in modo sempre più frequente a incontri, presentazioni, letture in giro per l’Italia ottenendo consensi ovunque. Alla gente piaceva il mio modo di raccontare la poesia. Piaceva la mia poesia. Ho sempre pensato che fosse perché piaceva così tanto a me che non poteva non sentirsi e non trasmettersi questa forte passione. In seguito arrivarono anche le recensioni e le note critiche e capii che c’era di più.
Il 2012 fu l’anno del nuovo libro di poesie “Incontri e Incantamenti” con prefazione di Gianfranco Lauretano e postfazione di Dante Maffia. In questo libro c’è un testo a cui sono particolarmente affezionata. L’ho scritto per mio figlio ed è stato profetico. Anche lui è voluto uscire di casa molto presto. Il secondo anno di Università lo ha passato a Monaco in Erasmus, e alla fine del terzo ha deciso di andare a vivere per conto suo. A Bologna sì, ma il distacco è stato immenso. Questa poesia scritta qualche anno prima, risulta appunto una sorta di profezia di quanto sarebbe successo. Ora vive all’estero, prima la Germania, poi il Messico, poi di nuovo la Germania e l’Austria… è un archeologo che cerca la sua strada.
Diventa mio padre, portami
per la mano
dov’è diretto sicuro
il tuo passo d’Irlanda.
Giorgio Caproni, Il muro della terra
c'èun’erba più verde
bagnata come pianto
in questa primavera
sembra il canto
dei tuoi giovani anni
figlio dei vent’anni
figlio dei giorni bui
piovosi
e dei cieli immensi
subito sereni
luminosi da non guardare
figlio che non inganni
figlio degli affanni
e del tempo che ride
beffardo e per incantamento
nell’azzardo
ti porta altri orizzonti
figlio dei tramonti
figlio degli incontri
figlio tra la gente
come pietre di sorgente
acqua smarrita
ma donata ritrovata
figlio della vita
anch'io mi sono vestita
di verde
ma più chiaro
come il giorno
che Maria ti sorrise
che ti mise nelle mie mani
figlio del domani
che ancora stringo
in un abbraccio
che non so lasciare
non mi rimproverare
figlio che devi andare
(da: Incontri e Incantamenti, Raffaelli, 2012)
Nel 2013 completo anche il percorso della Laurea Magistrale. Questa volta ho osato di più. Sono passata a lettere. Ho superato tutti gli scogli. Ho fatto un percorso bellissimo tra filologia, letteratura, ancora linguistica. La tesi in Letteratura dell’età romantica, con il prof. Marco Antonio Bazzocchi, fu su Malombra di Fogazzaro con incursioni nella rivisitazione cinematografica di Mario Soldati. Altra emozione forte.
Marina di Malombra è il primo personaggio di un romanzo per il quale viene introdotta l’introspezione psicologica: Fogazzaro è un anticipatore di Freud, in un certo senso, se pensiamo parliamo del1864… l’ambientazione è incantevole e magica, se pure non ben precisata: l'autore indica il luogo con una semplice lettera puntata: R. Si sa che è sulle rive di un lago lombardo, identificabile con il piccolo lago del Segrino, tra Como e Lecco… spesso andando sul Lago di Como ho provato a immaginare dove fosse esattamente situata la villa d’Ormengo e in specie l’orrido dove Marina finirà la sua vita… i luoghi di ambientazione dei romanzi hanno per me un fascino particolare, vorrei visitarli tutti.
Di questo periodo universitario ho dei ricordi bellissimi. E’ stato come un tuffo nella giovinezza, nella contemporaneità. Un riscoprire le mie capacità di lavoro, memorizzazione, collegamento, relazione. Un darsi obiettivi e raggiungerli. Una carica di energia positiva che mi ha fatto acquisire un’autostima rilevante.
Nel 2014, insieme ad alcuni amici, a Maurizio e ad Alessandra decido di fondare un’associazione culturale per cominciare a proporre incontri di poesia in città. Nascono così EstroVersi, e le collaborazioni con il Grand Hotel Majestic già Baglioni, che diventa il luogo degli incontri per la rassegna “Un thè con la poesia”, e con il sito culturale Altritaliani che mi assegna la rubrica Missione Poesia, nella quale pubblico articoli di recensione sui libri degli autori contemporanei: ad oggi siamo a circa 150 articoli dei quali 80 di questi (che riguardano i primi cinque anni di Un thè con la poesia e di Missione Poesia) sono stati raccolti in un’antologia “Ritratti di Poeta” pubblicata dalla puntoacapo edizioni a fine 2019. L’associazione cresce di anno in anno e adesso si occupa anche di Teatro, di Pittura, di Musica organizzando un Festival delle Arti in Toscana (2022, VI edizione), e altri appuntamenti sul territorio nazionale (vengono inaugurate due sedi operative in Toscana e Lazio).
La mia produzione poetica intanto si arricchisce di nuovi titoli: nel 2013 esce il poemetto “Ero Maddalena” (Prefazione di Gabriella Sica e post fazione di Rosa Elisa Giangoia) e nel 2015 “Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri” (Prefazione Massimo Morasso), entrambi pubblicati da puntoacapo editrice; nel 2017 esce “Nel nome del mare” (Prefazione Fabio Canessa) per Carteggi Letterari. Oltre a queste escono varie cose tra le quali il saggio sulla figura di Ersilia Bronzini Majno (Pendragon, 2013), mentre si moltiplicano gli articoli, le pubblicazioni di testi in antologie, la curatela da parte mia di alcune antologie (di saggistica e racconti) …
[…]
chi sono chi ero per carità
pensiero dammi forza
certezza dammi poi ricorda
una salita irta rovinosa
dietro a tutta quella gente
ad un uomo alla sua croce
la sua voce si è fatta fioca
e quella frusta come schiocca
le ferite della carne son le sue
e son le mie me le sento
una ad una e sua madre
che sorreggo mentre cade
*
la sorreggo per le spalle
per lo scialle che riannodo
poi un chiodo dopo l’altro
conficcati nelle ossa
su due pali stagliati al vento
mentre un lampo rinnega il cielo
poi lo rompe poi lo squarcia
è finita la sua marcia la nostra
resta sospesa la fede non serve più
Gesù, Gesù chiede da bere
perché è stato abbandonato
il soldato ride scherza se ne burla
*
sa che è l’ultimo respiro
come me come la folla
che attendiamo quella morte
la sua morte la nostra
arriverà dal fondo dalla terra
come pietra di miniera
scavata gettata in grembo
alla storia al tempo al luogo
che gli dettero la gloria
poi il dileggio
lo sfogo rimasto memoria
la mano che non si alza più
*
Gesù, Gesù fissi gli occhi al cielo
nel gelo che tutto avvolge
non lasciarci qui a tremare
non lasciarci guardare
il dado che vince la tua veste
sentire il tuo nome bestemmiare
non lasciarmi ti prego il lutto
la bestia che sento dentro
il frutto del mio malanno
non lasciarmi a rinnegare
cadere in nuove seduzioni
fammi morire oggi con te
*
è un nome che cerco
dall’amica che invoco
l’amica dal camice bianco
tu devi saperlo
tu che mi hai aperto
i cardini di questo tempio
o forse amica non eri
non lo so più spesso mi leghi
anche tu come lui non mi spieghi
perché so gridare forte
so sputare nel tuo viso di Madonna
so maledire il tuo essere donna
[…]
(da Ero Maddalena, Puntoacapo, 2013)
Cominciano ad arrivare anche le traduzioni di miei testi sia su riviste internazionali (inglese, romeno, ungherese, arabo, spagnolo) che in libri editi: Ero Maddalena, ad esempio, è pubblicato in inglese, romeno, ungherese… Mi appassiono al mondo delle traduzioni e, su richiesta di alcuni autori, comincio a tradurre e a pubblicare (grazie alla sezione internazionale della collana Altrescritture della puntoacapo), escono: nel 2019 in traduzione dal romeno “L’eco, solo lei” del poeta Ion Deaconescu, nel 2020 in traduzione dal francese “Corpo indifferente” del poeta ungherese Attila F. Balàsz – che vince nel 2021 il Premio internazionale Camaiore -, nel 2022 in traduzione dal francese “Le pietre lievi del silenzio” dell’autrice algerina Amina Mekhali (purtroppo recentemente scomparsa). Con le traduzioni arrivano anche gli inviti ai Festival Internazionali di Poesia: esperienze davvero uniche di incontro con la grande poesia mondiale.
Nel 2018 inauguro insieme a Giancarlo Pontiggia la collana di poesia under40 Cleide, per la Minerva Edizioni di Bologna. Due libri all’anno di poesia di giovani autori, bellissime voci del panorama poetico nazionale, che ci riempiono di soddisfazioni vincendo importanti premi, operando per la divulgazione della loro poesia, ricevendo apprezzamenti a livello di critica… ne siamo orgogliosi… anche questa è stata una sfida. Non è facile convincere un editore a pubblicare libri gratis, soprattutto se si tratta di poesia… ma Cleide è diventata un piccolo fiore all’occhiello della Minerva che continua a sostenerci in questa iniziativa.
Nel 2021 esce il mio primo romanzo “Voci Prime” edito da Minerva. Prossima ormai a lasciare la mia attività lavorativa, ho pensato di raccontare, in questa prova in prosa, le storie di alcune donne che ho incontrato nel mio percorso di consulente e responsabile di Agenzia presso gli uffici dell’INPS, l’Ente pubblico per il quale opero. E’ stata un’sperienza molto forte perché le tematiche che affronto trattano tutte di violenza di genere, e prendono spunto da storie realmente accadute, da donne realmente conosciute. Il libro ha ricevuto il Premio per la narrativa INPS, che mi è stato consegnato dal Prof Tridico al Salone del Libro di Torino a ottobre 2021, ha ricevuto diverse recensioni e se n’è interessata la RAI, pubblicando un video di presentazione nel sito Rai Cultura – Letteratura. Ne vorrei fare una pièce teatrale…
“C’è un fiore che, per sua natura e per tradizione parla di donne, di figli, di madri: il Giglio di
mare. Si narra, infatti, che questo fiore sia nato dal latte perduto dalla divina Era, moglie di
Zeus, mentre Ercole lo succhiava con troppa foga. Parte del liquido divino schizzò in cielo
generando la Via Lattea e parte cadde sulle spiagge generando i gigli. Le storie di Sara, nate da
incontri avvenuti nell’ambito del suo lavoro in Previdenza, raccontano di queste donne, di
queste Voci Prime che inevitabilmente si innestano con la sua.”
(dalla IV di copertina di Voci Prime, Minerva, 2022)
L’8 giugno 2022 è uscito il mio nuovo libro di poesia “La causa dei giorni” (prefazione di Giovanna Rosadini) per InternoPoesia. É un libro su cui ho meditato a lungo (esce dopo cinque anni dall’ultimo mio libro di poesia) e, credo, sia un lavoro che esprime appieno la mia maturità poetica, sintetizzata in questa presentazione.
“La nuova raccolta di Cinzia Demi, pubblicata a cinque anni dall'ultima prova in versi, si rapporta con un nuovo archetipo, quello della Matriosca. "La causa dei giorni" è un libro frutto di una poetica dell'esperienza basata su fatti, avvenimenti e sentimenti che provocano un determinato effetto che, a sua volta, dà origine a un altro fatto, in una sorta di concatenazione di eventi: ogni passaggio della vita si collega così inevitabilmente al precedente e al successivo, e ne trae forza o debolezza senza scampo. Affiora alla lettura il paesaggio con le sue luci, i suoi odori, le sue asperità, il ciclo delle stagioni, gli slanci, le attese e le delusioni che il tempo infligge. Il ritmo della poesia, per Demi, è come il ritmo del suo respiro e del suo sentire, spezzato dalle vicende della vita.”
bisognerà capire cosa ci porta
a credere nei grani a farne
sabbia di clessidra tra le mani
a non rompere i cristalli dorati
a tornare là dove siamo nati
nella casa con le pareti bianche
dove ogni cosa ha un nome
che chiamiamo ogni confine
è un richiamo che rapido svalica
si espande nel mondo
in un sussulto di folate tra
bacche d’acacia e lino chiaro
nella luce obliqua delle persiane
nel sacramento giurato sul
simulacro trasparente del mare
bisognerà capire cosa ci resta
della pazzia della festa del
calore di fiamma che ancora
difende la giovinezza
dei nostri corpi abbracciati
nell'alba tra i vapori, mentre
sprofonda l’ombra delle sagome
che ci furono accanto e d’un
tratto la memoria è un male
stordente l’umanità affonda
nella ragione oscura
i papaveri stentano a fiorire
e un tempo immobile non
spiega non glorifica ma non
rinnega la causa dei giorni
(da: La causa dei giorni, Interno Libri, 2022)
Nel 2023, l’autrice rumena Aura Cristhi mi chiede di tradurre un suo libro di poesie,Grădini austere. Si tratta di una poesia molto complessa, ricca di riferimenti filosofici e di immagini gotiche. La sfida è notevole ma anche la soddisfazione. Nel 2024 esce infatti, dopo un grande lavoro di ricerca e di introspezione, esce Giardini austeri, pubblicato da Puntoacapo per il quale vengono effettuate alcune presentazioni in Italia. Ma il 2024 è anche l’anno del ritorno alla traduzione della poesia di Ion Deacunescu, il cui nuovo lavoro uscirà nel 2025 con la Terra d’Ulivi Edizioni, con il titolo di Memorie d’aria (Memoria Aerului). Contemporaneamente escono anche traduzioni dei miei libri: La causa dei giorni viene tradotto in romeno, spagnolo e francese; il solstizio dei sentieri in romeno. Grazie alla prof.ssa Irina Lupu, alla prof.ssa Carmen Bulzan e al prof Mario Selvaggio, posso sentire risuonare i miei versi in altre lingue, ed è davvero una sensazione incredibile.
Nel 2023, Rosanna Lupi, presidente del Premio Letterario Internazionale Camaiore – Francesco Belluomini, mi chiama per far parte della giuria. Ne sono lusingata. Ho sempre guardato a questo Premio come a un qualcosa di veramente importante per la poesia italiana, ne ho avuto alcuni riconoscimenti minori ma non l’ho mai vinto, e da adesso in poi, potrò dare il mio parere e il mio voto ai poeti che preferisco, non è cosa da sottovalutare. La collaborazione con Rosanna dura purtroppo veramente poco dato che lascia questa vita appena prima dell’uscita del bando del 2024. Continuo tuttavia a far parte della giuria con il nuovo presidente, Michele Brancale, giornalista, scrittore, poeta e amico. Il Premio giunge alla XXXVII edizione nel 2025.